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Dialogo di un Dinosauro Tennista e di un Autore 5.0

Unforgiven79

A fine 2021 è stato dato alle stampe il primo libro di Andrea Canella, Tennis 5.0 (DIGIPRESS Book), che trovate in vendita su questo sito. Non esiterei a definirlo un libro “rivoluzionario” sul tennis, ma non certo perché i contenuti minaccino ghigliottinate agli scritti precedenti sull’argomento. Semplicemente, ci vuol poco ad essere rivoluzionari in questo sport… e questo, a noi Dinosauri del Tennis, piace che rimanga così. Andrea, invece, ha scritto un libro moderno, analitico, documentato e tecnologico, che quasi definirei dall’approccio no-nonsense. Ci mostra cosa sta arrivando nel nostro sport e cosa sia già arrivato sotto traccia, in ambo i casi lasciando molti specialisti basiti.

Non lo definirei esattamente nemmeno “contro corrente”, perché non è che in esso Andrea si ponga di contestare o smontare tesi o punti di vista già scritti da qualcun altro. Anzi. Il suo maggior valore è quello di aprire, nel salotto buono del circolo bene del tennis, una finestra sul mondo attuale e far vedere agli iscritti dove questo porterà (se non ve lo ha già portato) il loro sport. E lo fa attraverso i dati o le testimonianze dirette dei migliori nel proprio campo, cioè i suoi intervistati.

Mentre noi giochiamo una partita, là fuori stanno reinventando il tennis, tecnicamente ed economicamente. E noi giocatori manco ce ne eravamo accorti.

A questo punto, da impenitente Dinosauro dal rovescio scapolo e la passione di imbracciare ancora ogni tanto una Donney di legno, ho deciso di scambiare quattro chiacchiere con Andrea circa le quattro sezioni del suo libro, che poi sono i quattro principali ambiti in cui il tennis sta diventando adulto… così, giusto per non rimanere troppo indietro anch’io. E le condivido con voi perché gli spunti sono molti.


0. PREFAZIONE

U79: La mia prima domanda si collega alla prefazione del libro (scritta dal sempre brillante Tommaso Villa), punta all’antefatto personale ed è un po’ provocatoria: ma tu… ami davvero il tennis? Nel libro ne svisceri il lato moderno e volto al futuro, a volte come fosse un puro business model ed altre una pura tecnologia da sviluppare. Il tuo libro si sviluppa in fondo come una tesi di dottorato… ma allora per te è solo un interessante argomento da analizzare oppure, come noi, condividi un’insana passione per uno sport che in fondo si riconduce a tirarsi addosso una pallina con due ramazze?

AC: Amo veramente questo sport in cui ci si tira addosso una pallina, tant’è vero che seguo il tennis da almeno 40 anni. Volevo esplorare lati poco conosciuti del tennis professionistico e amatoriale, o conosciuti solo dai veri appassionati, che sono più organizzatori e coinvolti in aziende che producono gli attrezzi e quindi, gioco forza, si trasformano in addetti ai lavori. Come spiegavo a Roberto Ferri nell’intervista che recensiva il mio libro, la visione del libro è volutamente evolutiva. Penso che esista un sottile fil rouge che unisce le quattro sezioni in cui si divide il libro. In questo viaggio ordinato, la prospettiva in cui ci si pone è evolutiva, con una costante ricerca orientativa rivolta al futuro che capovolge la traiettoria più tradizionale e nostalgica della letteratura inerente il tennis e altre discipline sportive. Sentivo la necessità di dare una prospettiva orientata al futuro agli appassionati.


PARTE 1 – EVOLUZIONE DEI MATERIALI TRADIZIONALI

U79: Qui, Andrea, ci fai balenare davanti agli occhi una speranza, forse involontariamente. Mi riferisco alla prima sezione, quella sulle nuove possibilità di progettare e produrre racchette tramite le tecnologie di stampa in 3D. Ecco, tu metti fortemente l’accento sugli aspetti di accessibilità sociale e sostenibilità ecologica che tali tecnologie consentirebbero, ma devi sapere che il vero tennista come si deve è dotato di maestoso egoismo ed egocentrismo, proprio degli autentici aristocratici. E, come ogni nobile annoiato che si rispetti, si diletta in studi alchemici e cabalistici alla ricerca del proprio Sacro Graal personale: la racchetta perfetta! Il forum Talk Tennis di Tennis-Warehouse è pieno di noi derelitti Don Chisciotte lanciati all’idealistica ricerca della rigidità che sì spinga, ma non vibri troppo, dell’ovale generoso in sweet-spot ma non impreciso, della spinta fatale che non sacrifichi la manovrabilità o la sensazione… ed una volta convinti dalle raccomandazioni dell’utente novello Paracelso di turno, vi scialacquiamo inutilmente così tante palanche che ne soffrirà la dote di nostra figlia quando dovrà andare in sposa al marchese nostro confinante. Quindi, per giunger a noi, ed attento alla tua risposta perché se insoddisfacente ti farò bastonare dai miei servi, ti chiedo: queste tecniche ci consentiranno finalmente di scendere in campo con un attrezzo che non ci tradisca né deluda mai, in alcuno scambio?

AC: La domanda è molto interessante e stuzzica la fantasia. Con l’introduzione di nuove tecniche di produzione, in linea con i vincoli ambientali e che permettano accessibilità sociale, quello che si paventa è proprio la possibilità per ogni tennista mediante un file di cambiare certi parametri nella progettazione della racchetta, all’insegna della massima interpretabilità. L’unico problema che vedo ad oggi, in termini di praticabilità dell’idea, risiede nell’interfaccia che dovrebbe essere amichevole, per gli utenti o il centro specialistico che potrebbe essere il negozio di tennis locale e nel fatto di poter scegliere dei buoni materiali per i prototipi definitivi, passando per materiali più a buon mercato, ma sufficientemente affidabili, nella fase di prototipazione. Detto ciò, se pensiamo all’indietro, quarant’anni fa compravamo vinili, poi cassette, CD, MiniCd per ascoltare la musica, mentre adesso scarichiamo i brani da Spotify e da altre piattaforme. Deve cambiare il modello di business, ma i produttori di racchette, che ad oggi hanno una posizione dominante nel mercato, a mio avviso non dovrebbero continuare a stare sugli allori, in quanto, se qualcuno crederà in questa innovazione distruttiva, il mercato delle vendite delle racchette potrebbe subire dei radicali cambiamenti. Io credo che le innovazioni nella catena del valore delle racchette, ma anche delle attrezzature sportive, si manifesteranno nel momento di fruizione e costruzione dell’attrezzatura, che dovrà essere ad personam, e soprattutto all’atto dello smaltimento dell’attrezzo, allorquando si dovranno trovare nuovi usi del materiale dismesso, con iniziative di economia circolare.


PARTE 2 – Salute mentale e fisica del tennista

U79: Come forse ricorderai, quando ci incontrammo la prima volta mi citasti una tabella particolare che veniva dall’analisi dei dataset riguardanti le partite di 20 dei più forti tennisti maschili dell’era Open. Non mi dilungherò sui tecnicismi del tuo evidente padroneggiare i dataset perché, in quest’ambito, io sono operativamente ancora fermo a penna, calamaio e foglio Excel, non andando oltre ad una (sempre utile) tabella pivot. Vengo ai risultati ed al dato che più mi ha fatto strabuzzare gli occhi: analizzando le partite 3/5 in cui questi campioni vanno sotto di due set, cioè quando dovrebbero ormai sentir suonare la propria campana, salta fuori che il buon Bjorn Borg poi vince… nel quasi 64% dei casi! Due volte su tre finisce per vincere: com’è umanamente possibile?!? Vuol dire che, ad affrontarlo in uno Slam, all’avversario cui fosse riuscito di strappagli il primo set, davvero, sarebbe convenuto di ‘sciogliere’ il secondo e lasciarglielo… per avere maggiori speranze di vittoria finale! Mentre due risaputi volponi agonistici come Nadal e Djokovic riescono a rimontare sì e no una volta su tre. Come lo spieghi?

AC: Allora, la percentuale di vittorie di Borg la interpreto nel seguente modo. Prima di tutto Borg giocava poco rispetto ai Connors e Vilas dell’epoca. Anche in questo caso è stato un precursore di una programmazione tennistica moderna. In secondo luogo, fisicamente il migliore Borg era un mostro a livello atletico. Infatti nel libro scrivo che lui e Vilas sono stati degli antesignani di una preparazione rigorosa. E poi mentalmente era una roccia, che abbiamo visto consumarsi rapidamente, dato che l’orso Svedese decise di ritirarsi per la prima volta a 26 anni. Infine, e questa è una mia personale interpretazione, Borg nel mondo del tennis anni ’70 è stato un personaggio iconico, che ha distrutto vecchi modi di intendere il tennis. La sua dimensione andava ben oltre la sfera tennistica, che era pur sempre vincente. Quindi penso che i tennisti della vecchia guardia, al vedere un giovane rampante, che per certi aspetti stava contribuendo a distruggere la concezione tradizionale del tennis, assai stantia e vetusta, avessero quasi dei timori reverenziali. Poi, però, è noto che Borg giocava con una racchetta di legno. Oggi le statistiche di Nadal e Djokovic devono interpretarsi alla luce di un circuito tennistico già uniformato a certe tipologie di preparazione atletica, con informazioni che sono diffuse, data la possibilità di poter guardare e riguardare le partite degli avversari, così come di potersi allenare insieme. E quindi, i numeri di questi super campioni dovrebbero ritenersi alla pari di quelli di Borg, anche perché la loro fiamma continua ad ardere ad oggi, non essendosi spenta precocemente a 26 anni, e considerando il fatto che hanno giocato un numero di partite nettamente superiore allo Svedese.

U79: Quanto agli infortuni, anche qui ti stuzzico un po’… o meglio, assieme a te stuzzico tutti i giocatori Millennials che riempiono i nostri campi. Hai effettuato una completa analisi numerica e statistica, ma, come si dice, bisogna andare alle root-cause di questi spiacevoli inghippi fisici. Da amante tradito dei “gesti bianchi”, cui nel lontano 1993 furono ancora insegnati i fondamentali nella loro forma più piatta e quindi pura possibile, rigorosamente in closed stance, ipotizzo, anzi, pontifico che i fondamentali moderni traghettano, come moderni Caronte, il tennista dannato all’inferno… cioè, all’infermeria. I diritti con impugnatura semi-western, quando non proprio western, per produrre topponi esagerati, causano delle smodate torsioni innaturali di polso, gomito e spalla. Innaturali, sottolineo. Inoltre, colpire in open stance comporta spesso quel movimento sinuoso e ben poco virile che corrisponde al nome di “colpo d’anca”: è poco strano quindi che, dopo vent’anni passati a colpire palline sballottandosi in tal modo, il buon Andy Murray se ne sia dovuto alla fine far installare una di ricambio in titanio! C’è qualche evidenza che i gesti bianchi siano più “sani” dal punto di vista fisico? Se non c’è, per favore inventatela, perché sono troppi anni che assisto a tali oscene movenze anche sui campi di più antico prestigio del mondo.

AC: Ove ci fossero delle evidenze che i gesti bianchi e l’utilizzo delle racchette tradizionali siano più gentili con il fisico, sarebbe per me interessante venirne a conoscenza. Ma purtroppo, per un problema di standard, non siamo oggi in grado di misurare il numero degli infortuni in modo uniforme nel tempo. Mi è stato chiesto più o meno la stessa cosa in quel di Noventa di Piave. Gli standard per la misurazione degli infortuni sono stati definiti in una riunione a Roehampton nel 2009 e poi riaggiornati su proposta del CIO, che vedeva d’accordo le principali organizzazioni tennistiche, sempre nello stesso luogo, nel 2019. Di questo nel libro parlo diffusamente. C’è poi da aggiungere che è a partire dagli anni ’90 che si cominciano a monitorare numericamente il numero degli infortuni nel tennis. Quindi, temo che non avremo una risposta numerica. Quello che possiamo fare è, come tu hai ben fatto, usare la logica per supporre che esecuzioni in closed stance, con racchette e corde tradizionali, finiscano per essere meno aggressive sul fisico del giocatore, provocando meno infortuni. Non si può nemmeno dire che negli anni ’70 e ’80 si giocasse di meno rispetto ad oggi, dato che vi erano più circuiti (Nabisco Gran Prix, World Tennis Championship noto come WCT) e questa situazione è durata fino al 1990, anno di fondazione dell’ATP tour, cosi come lo conosciamo oggi. Si era in una situazione di passaggio, per quanto concerne corde e materiali, ma anche al tempo infortuni rari che decretavano la fine precoce di carriere si sono visti, se pensiamo al caso Henrik Sundstrom e Kent Carlsson, anche se il caso di quest’ultimo è molto più particolare in quanto soffriva di una deformazione a un piede congenita. Io ho maturato l’idea che in quel periodo tennistico le carriere fossero più corte, perché comunque si era in una fase di turbolenti cambiamenti, con i materiali degli attrezzi che stavano cambiando per tutti e bisognava adattarsi. E non tutti erano Connors, capace di sopravvivere senza estinguersi, per tre ere geologiche tennistiche. Oggi comunque, proprio perché i gesti eseguiti in open stance comportano rotazioni estreme, le impugnature semiwestern o western consentono i topponi, appare molto importante monitorare i carichi di lavoro ed essere seguiti da fisioterapisti e preparatori atletici nelle sessioni di stretching pre e post partita. E abbiamo conferma di questo quando osserviamo l’elasticità fisica di Novak Djokovic, uno che pratica esercizi di stretching fin da adolescente.


PARTE 3 – L’Irrompere della Tecnologia Applicata allo Sport

U79: Ah, Hawk-Eye… il giorno in cui i sistemi di controllo automatico della posizione della pallina saranno perfettamente accessibili (cioè quando saranno inclusi nella tariffa del campo), quel dì sarà per me in egual misura felicissimo et mestissimo! Felicissimo, perché finalmente nei colpi profondi dovrò solo curarmi di colpire bene la pallina, senza farmi distrarre dal doverne controllare il rimbalzo, ma anche mestissimo perché in torneo non si potranno più distinguere i veri gentiluomini dai lestofanti: i primi sono quelli che, su palla dubbia, cancellano il segno con un secco gesto dall’eleganza principesca e concedono il punto, mentre i secondi, avidi di vanagloria, s’inventano fili di luce tra linea e palla in modo spudorato. Ad ogni modo, ti ho letto più preoccupato per i dataset dei dati generati da questi dispositivi, più che del significato applicativo (= il colpo era dentro o fuori?) e, in un mondo dettato dal GDPR, della relativa proprietà. E’ davvero così importante possedere i propri dataset? Non basta avervi accesso in lettura, in modo da poterli utilizzare per le analisi di gioco? E soprattutto, perché tante preoccupazioni? Parliamoci chiaro: i dati relativi al gioco in campo di un tal giocatore non sono assimilabili né a Proprietà Intellettuale (perché non sono contenuti originali figli dell’intelletto del giocatore, ma solo movimenti più o meglio ben riusciti), né a Dati Sensibili (perché non riguardano orientamenti politici, religiosi, etc e soprattutto non sono rivelatori circa lo stato di salute del giocatore). Ergo, perché tante preoccupazioni?

AC: Tralasciando il significato applicativo in un campo di gioco, che per mezzo della tracciabilità del colpo permette di stabilire se il rimbalzo è caduto dentro o fuori dal campo, la ragione delle mie preoccupazioni è dovuta al fatto che il business, dalle cosiddette apps scaricabili ai social più popolari è inerente ai database che si vengono a creare con la relativa capillare raccolta di informazioni di utenti. È vero che la GDPR in Europa offre una protezione dell’utente unica nel mondo attuale, che permette allo stesso, ad esempio, il diritto all’oblio. Diciamo che al momento come hai ben argomentato questi dati non sono né sensibili e nemmeno passibili di proprietà intellettuale, almeno che non riguardino professionisti del circuito. Però non dobbiamo scindere l’utilizzo dei dati dalla finalità per la quale sono utilizzati. Al momento siamo in un’epoca in cui le imprese hanno già cominciato a raccogliere enormi quantità di dati, ma non sanno come utilizzarli. Come ho spiegato nel libro, per me la raccolta di questi movimenti personali eseguiti nel campo da tennis, potrebbe trovare un suo senso, se questi sono utilizzati per finalità medicali, con l’obiettivo di prevenire infortuni e problemi muscolari, che si manifestano anche per i comuni giocatori di circolo. Un’altra finalità potrebbe essere quella di vigilare zone del campo irregolari, attraverso tecnologie “smart court” per capire se possono essere potenzialmente pericolose per i tennisti amatoriali.

U79: Ho trovato particolarmente gustoso leggere delle stoccate a distanza tra Babolat ed Head sull’argomento, ma non sembra un po’ anche a te che, in quest’ambito, Google sia un po’ il convitato di pietra? Mi sarei aspettato già un loro pieno dominio sull’argomento. In second’ordine, anche Apple brilla per la sua assenza.

AC: È un buon punto il tuo! Ossia, se ho capito bene la domanda è perché giganti come Google e Apple se ne stanno alla finestra a guardare. Probabilmente perché non vedono le potenzialità del business. Bisogna considerare i modelli di business di questi giganti dell’IT. Credo che Google ricavi i suoi maggiori guadagni da inserzioni pubblicitarie, da servizi per le imprese erogati per mezzo di prodotti progettati per la grande massa di utenti, ma di fatto non ha software di cui si paga la licenza, come Microsoft e SAP. L’entrata in campo di un colosso come Google, dovrebbe essere legata alla passione di un fondatore, come di fatto avviene per Oracle, dato che Larry Ellison ha acquistato il torneo e le sue strutture nel 2009. Quello che si può notare è che la maggior parte dei prodotti da me citati utilizza iOS, o almeno quelli delle soluzioni che ho classificato come portabili. Infatti, con riferimento a Apple, non direi che sia stata proprio alla finestra, dato che certi prodotti che ho descritto nel mio libro funzionano solo con iOS e mi riferisco a quelle che ho già citato nel mio libro, ovvero SwingVision e Eyes3. Quando scrissi il libro, solo In/Out Tennis era predisposta sia per Android che per iOS, però magari oggi saranno uscite nuove versioni compatibili anche con Android. Personalmente a me piace di più una soluzione dove si può accedere con QR Code, come Wingfield che su Eurosport De sta lanciando massicciamente annunci pubblicitari.


PARTE 4 – Sostenibilità economica e ambientale, marketing, media

U79: Il conteggio economico di quanto costi alla propria famiglia portare un ragazzo dalla prima lezione al professionismo è clamoroso! Ed ancor di più la valutazione sullo stimato punto di pareggio necessario ad un giocatore pro per chiudere una stagione in attivo… fa rimpiangere i gesti bianchi e soprattutto amatoriali! Quello che maggiormente mi allibisce è la recente lievitazione dei costi fissi e strutturali a carico di un giocatore per il dover mantenere attorno a sé una squadra che a me pare più una delegazione russa: coach, preparatore fisico, psicologo, agente… ma siamo sicuri che tutta questa gente costituisca oramai una condizione al contorno necessaria? O comunque con ROI di una qualche consistenza? Il tennis, come il golf, è lo sport dell’arrangiarsi, del dover trovare da soli le situazioni in maniera autosufficiente. Ora poi i coach vogliono pure poter andare in campo a parlare ai propri assistiti… cosa sono diventati i tennisti professionisti? Dei minus habentes cui serve una squadra di tutori legali?

AC: Sì, purtroppo assistiamo a squadre sempre più folte di persone che ruotano attorno ai tennisti di successo. La questione che si pone è quale dovrebbe essere la squadra minima che dovrebbe seguire un giocatore di livello. A mio avviso, la squadra ridotta ai minimi termini dovrebbe essere un allenatore, un fisioterapista, dando per scontato che l’allenatore possa fare anche un po’ da psicologo, come raccontava Daria Abramowicz nell’intervista che mi ha rilasciato. Questo per quanto concerne tornei di categoria ATP 500, Master 1000 e tornei dello Slam. Considerando i tornei ATP 250 ed i Challenger, credo che qualche trasferta gli allenatori potrebbero anche evitarla, dato che, come dici tu, tennis e golf sono sport del sapersi arrangiare e adattarsi alle situazioni contingenti. Voglio tuttavia rimarcare l’importanza di avere nella squadra uno psicologo sportivo, oggi soprannominato “Mental Coach”, soprattutto nelle fasi formative adolescenziali di passaggio dal circuito junior al circuito maggiore. Nadal non sarebbe quel mostro agonistico, resiliente e dotato dell’indomita capacità di superare se stesso, senza gli insegnamenti dello zio Toni. Lo stesso dicasi di Iga Swiatek, che deve molto, come lei stessa lo ha dichiarato più volte, al lavoro della Abramowicz. Altre volte i giocatori sembrano trovare una propria stabilità mentale e caratteriale quando sentimentalmente sistemano la loro vita. Così è ad esempio accaduto per Roger Federer e altri.

U79: Da quando l’ITF ha riformato la Coppa Davis, portandola in dote al proprio matrimonio di convenienza col fondo Kosmos, i propri alti vertici non possono più uscire di casa senza le guardie del corpo. Io mi sono già espresso in merito su di un altro articolo apposito… e comunque le nozze combinate sono proprie delle famiglie patrizie, quindi nel tennis cadono a fagiolo. Leggo ora come questa federazione tacciata di tanta avidità monetaria sia un’investitrice mastodontica di soldi nello sviluppo e sostentamento dei tennisti in erba nati in Paesi in via di sviluppo (= poveri)! Cifre a sei zeri riversati in fondi di goodwill pura, garantendo l’accesso a questa disciplina che, per quanto visto sopra, costa troppo per chi già ha difficoltà ad accedere alla scuola di base. Che sia forse il caso di smettere di fare gli schizzinosi nei riguardi dei talleri di Piqué, dato che vengono in realtà re-impiegati molto bene?

AC: Non solo, bisogna smettere di fare gli schizzinosi nei riguardi dei talleri di Piquet, ma pure, ritornando al tuo articolo, le critiche, in salsa amarcord nostalgica, mosse al nuovo formato della Davis lasciano il tempo che trovano. Come ho già ribadito in altri fori, credo che l’attuale formula con incontri due su tre, con doppio decisivo, sia più interessante, perché si viene a conoscere il risultato della sfida il giorno stesso. Il fatto poi di aver posto il doppio, come decisivo nella contesa, è un tentativo di rilancio di una specialità che stava cadendo in declino. Quindi ben vengano nuovi patrocinatori e mecenati, con idee anche innovative, se questi possono portare soldi al nostro movimento.

U79: Sono rimasto basito ed, oso aggiungere, inorridito, nel vedere l’impietoso confronto tra le royalties che incassa la PGA e quelle che incamera la ATP. Ora, con tutto il ben che voglio al golf (poco), è possibile che questo sport di dorata nicchia sia così avanti al tennis? Non mi sento di paragonare l’interesse che desta mediaticamente Wimbledon rispetto al British Open, anche senza andare a scartabellare numeri: dovrebbe essere un no-contest, su! Ed allora perché questa sproporzione? È davvero gestito male il potenziale mediatico del tennis, come sostiene Andrea Gaudenzi?

AC: Come hai ben rimarcato, i numeri sono purtroppo impietosi e a favore del golf. Ovviamente il confronto tra tennis e golf non è stato oggetto di scelta casuale, ma bensì ponderata al fatto che gli sport sono molto similari quanto a gesti tecnici, organizzazione dei circuiti professionistici ed età anagrafica delle loro organizzazioni. In realtà la PTPA non ha tutti i torti a lamentare che la torta non è ben spartita tra tornei e giocatori, essendo questi ultimi più penalizzati rispetto a quanto spetta agli stessi tornei. Ma il problema sta nei modelli di business che sono essenzialmente diversi tra golf e tennis e, secondo me, nella tipologia di sponsor che finanziano i tornei del PGA Tour e quelli che invece garantiscono l’organizzazione dei tornei del circuito maggiore ATP come i Master 1000 e gli ATP 500. Solo a livello slam le sponsorizzazioni sono costituite da nomi altisonanti. È vero, però, che la vita agonistica di un golfista di livello è mediamente più lunga di quella di un tennista di pari livello. A mio modo di vedere, non esiste solo una cattiva gestione del potenziale mediatico del tennis, ma pure una qualità non proprio buona dei servizi erogati dall’ATP. Per esempio, nel libro spiego che ad oggi i tennisti non hanno un fondo pensionistico, come invece i loro colleghi golfisti affiliati al PGA Tour.

U79: Andrea, mi accommiato dal tuo libro ponendoti di fronte all’ingrato compito di trarre delle conclusioni dopo tanto sforzo di approfondimento sull’evoluzione del tennis. Spesso molti critici cinematografici e musicali pontificano su cosa, di ciò che c’è già in giro, sia bello o brutto, ma non sanno azzeccare un pronostico su dove stia andando l’arte che conoscerebbero così a fondo. Perciò ti chiedo: i tuoi dataset, le tue interviste con il gotha che c’è dietro al sipario, le tue analisi… come ti fanno vedere che ci apparirà il tennis fra trent’anni? Io ti dico la mia: come la Formula 1 si è dovuta inventare l’artificio meccanico del DRS per riportare i sorpassi, cioè l’attacco, in auge, così non escluderei che nel nostro sport venissero utilizzate alcuni degli aspetti che hai illustrato per renderlo più divertente senza snaturarlo. Perché il tennis, sia detto senza malizia, è uno sport non per animi classici, ma per risvegliare il bello del classico nell’animo di tutti. Tu come la vedi?

AC: Bellissima domanda, ma anche molto difficile. Nel tennis corriamo il rischio di perdere il puro gioco d’attacco, dato che abbiamo già parzialmente perso il puro stile S&V. Dipenderà molto da cosa si insegnerà nelle scuole di tennis. Le differenti scuole tennistiche nazionali dovranno ricercare la giusta formula, dosando sapientemente elementi tecnologici, parametri di allenamento fisico e elementi di pura psicologia sportiva correlati allo sviluppo dell’individuo, per trarre indicazioni utili sull’evoluzione in senso lato degli atleti e quindi, di conseguenza, anche del gioco del tennis. Tuttavia, osservando Alcaraz, esponente fenomenale della nuova generazione, mi sbilancio nell’affermare che ci potremmo divertire nei prossimi anni dato che, essendo un giocatore moderno, con rovescio bimane e dritto anomalo, mi pare che sia sempre incline ad attaccare, non disdegnando discese a rete. Per cui, in ultima analisi, sono ottimista sul futuro del nostro sport.

Seeding

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